STAGE MILANO di Katsugen undo
“Uno stage che dura più giorni, perché?
A prima vista la cosa appare anche un po’ strana.
Il ritmo dello stage si accompagna alla vita quotidiana.
La mattina presto, inizio giornata, l’Aikido.
La sera, fine giornata, il movimento rigeneratore.
In mezzo tante ore vuote, il ‘Ma’, terreno potenziale.
Ore perse?
Non sarebbe stato meglio concentrare le ore di pratica in uno o due giorni soli?
A ben vedere, c’è una grande differenza tra uno stage lungo e uno corto.
Nell’arco di più giorni, qualcosa continua ad agire in noi anche nei momenti in cui non si pratica o ci si dedica ad altro.
E’ il lavoro dell’inconscio e nell’inconscio: avviene anche nostro malgrado.
E’ il lavoro più importante, quello che lascia delle tracce, quello che si accompagna a un respiro quieto e profondo.
Il tempo stesso, nel silenzio, agisce ed ha un effetto; non solo le cose che ‘facciamo’.
Un ritmo lento ritrovato favorisce la distensione e la manifestazione del movimento naturale e spontaneo durante la pratica. La fretta, l’agitazione, l’eccesso di attivismo senza dubbio sono condizioni che lo ostacolano.
La mente talvolta stenta a seguire, preoccupata dal bisogno di ottenere risultati immediati e rapidi ma il corpo respira sollevato se riusciamo a concedergli qualche ora inutile.
Qualche minuto di concentrazione e distensione, di piacere semplice, di vita che scorre.
Qualche istante di sensibilità normale, di ascolto, di riposo effettivo.
Che il ‘troppo pieno’ sia la causa del nostro malessere lo sentiamo istintivamente.
Ecco perché un ‘buono stage’ è uno stage che svuota.
Ne usciamo meno ingombri, più svegli, più freschi.
Itsuo Tsuda chiamava questa pratica ‘la Via della spoliazione’.
Lasciar partire ciò che è inutile, lasciar fare alla saggezza del corpo questo lavoro di pulizia interiore.
Qualcuno ha deciso di praticare in questo senso.
Ecco una decisione che mi sento di condividere appieno!”
Giovanni